(IM)perfetti
“Perfetti o felici”
Così la psicoterapeuta Stefania Andreoli intitola uno dei suoi lavori. Un titolo che centra in pieno la questione: si può essere perfetti e felici allo stesso tempo?
Può capitare che, nel tentativo di sentirci realizzati, di ottenere il riconoscimento altrui, cerchiamo ostinatamente di raggiungere la perfezione. Ottenere il massimo, non sbagliare mai e il desiderio di essere il migliore possono rappresentare ideali che fanno da carburante per il motore del successo. Ma esiste la perfezione? Si può davvero essere perfetti? E, soprattutto, qual è il prezzo da pagare per la ricerca incessante di essa?
Con il termine perfezionismo si intende un tratto di personalità rappresentato dalla tendenza a porre a se stessi e/o agli altri standard prestazionali rigidi e severi. Le aspettative sono altissime, gli obiettivi, talvolta, impossibili da realizzare e gli errori non sono tollerabili.
Duramente severo con sé stesso e fortemente autocritico, il perfezionista vive spesso una condizione d’ansia, dettata dal fatto di dover dare il massimo e di non poter sbagliare. Frustrazione, rabbia, stress e depressione sono così dietro l’angolo.
Quali sono le caratteristiche del perfezionista?
standard rigidi e irrealistici, con eccessivi sforzi per raggiungerli
attenzione selettiva agli errori, che rappresentano un fallimento
pensiero "tutto o nulla", dove i risultati possono essere o totali successi o totali fallimenti
continui dubbi sulle effettive capacità e competenze
credenza che anche gli altri abbiano grandi aspettative su di noi
paura della critica
Nonostante un aspetto centrale del perfezionismo sia una visione bianco-nero, è importante parlare di perfezionismo immaginandoci due poli opposti, collegati da una linea, che rappresenta tutte le tonalità di grigio.
Un esempio ci aiuta a comprendere come il perfezionismo possa essere funzionale o maladattivo:
Matilde è una giovane studentessa universitaria, ha appena ricevuto l'esito di uno degli esami più difficili del suo corso: 26. Avrebbe voluto un voto più alto, ma è consapevole di quanto fosse difficile l'esame, ritiene comunque di essersi impegnata e di essere una brava studentessa. Sa che può sempre migliorarsi e che con impegno potrà continuare a ottenere ottimi risultati .
Davide ha sostenuto lo stesso esame di Matilde, sogna la lode, ha paura di scoprire il voto preso: 27. Non è riuscito in ciò che desiderava di più, ottenere il massimo. Davide è profondamente insoddisfatto, si arrabbia, è duro con se stesso, fortemente autocritico. Questo risultato significa essere un fallito, pensa che non combinerà mai niente di buono.
Matilde rappresenta un perfezionismo sano, il bianco: non teme il giudizio dell'altro, gli errori sono visti come opportunità di crescita e la sua autostima non è legata ai soli risultati raggiunti; desidera migliorarsi, ma lo fa con coscienza.
In Davide ritroviamo il perfezionismo clinico (o patologico), il nero: la paura di fallire è costante, i risultati ottenuti sono svalutati, e gli errori vengono sottolineati, rappresentano un fallimento; la sua autostima è bassa, perché dipende dalla sola prestazione, che deve essere impeccabile.
Matilde e Davide ci mostrano che più il grigio diventa scuro e si avvicina al nero, più la tendenza perfezionistica può rappresentare un problema, un finto alleato, un nemico.
Come nasce una persona perfezionista?
I primi studi sul tema hanno riscontrato nelle persone perfezioniste la presenza di genitori critici ed esigenti, in cui l'affetto per il figlio era condizionato alle prestazioni.
Pensiamo agli anni della scuola. Alcuni genitori e insegnanti possono averci elogiato per il raggiungimento di successi. E nello stesso tempo, siamo stati puniti o rimproverati per un errore commesso, o per non averci messo abbastanza impegno. Ma quando la critica e la spinta a fare meglio diventano frequenti e intense, è possibile che vadano a rinforzare i comportamenti perfezionisti. Si inizia così a credere che per essere apprezzati e amati sia fondamentale non sbagliare mai e ottenere sempre il massimo. Gli errori vengono così vissuti con grande paura e con emozioni di vergogna e colpa.
Si cresce provando insoddisfazione, perché ciò che viene fatto non viene mai percepito come abbastanza, e quindi meritevole di attenzioni. Nel tempo, si sviluppano l'eccessiva preoccupazione di compiere errori, la paura del giudizio negativo dell'altro e lo sforzo continuo per conquistare l'approvazione. Diventa fondamentale riuscire a mantenere una buona immagine di sé. Si è amabili, bravi e degni nella misura in cui si ottengono risultati.
A oggi, anche il mondo dei social network ha fissato parametri irrealisti con cui i millenial e le generazioni future devono fare i conti. Numero di views, followers e likes sono diventati il metro di misura con cui sempre più persone, soprattutto giovani, sentono di doversi confrontare.
Quali sono le conseguenze del perfezionismo?
Quanto più questa tendenza è marcata e pervasiva, tanto più è alta la probabilità che possa causare problemi, compromettendo benessere e salute mentale.
La pressione autoimposta per raggiungere risultati impeccabili può diventare oppressiva, portando a un ciclo di insoddisfazione continua. Bassa autostima, rabbia e senso di inadeguatezza possono diventare costanti.
L'aumentare del perfezionismo patologico, anche tra i più giovani, porta a patologie quali ansia, depressione, disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi alimentari. Inoltre, rappresenta un potente fattore di rischio per il suicidio.
Essendo un tratto di personalità, può giocare anche un ruolo decisivo nello sviluppo di disturbi di personalità.
Come evitare che il perfezionismo diventi un'ossessione?
Per coltivare in modo sano l'aspirazione alla perfezione è necessario comprendere che l'essere umano è intrinsecamente imperfetto. Gli obiettivi che ci si pone devono essere realistici e ragionevoli, sfidanti, ma non irraggiungibili. C'è quindi bisogno di flessibilità: voler ottenere buoni risultai va bene, dedicarsi a ciò che si ritiene importante anche, ma non si deve essere impeccabili. Fare bene NON è uguale a essere perfetti. Questa distinzione è fondamentale.
Impegnarsi, essere motivati, voler raggiungere i propri obiettivi è una cosa. Diverso è invece pensare che solo attraverso la perfezione si possa essere qualcuno, bravi e riconosciuti.
Bisogna quindi perseguire un perfezionismo sano, coscienzioso, attraverso una prospettiva equilibrata. La perfezione assoluta non esiste e gli errori fanno parte del processo di crescita. Accettare l’imperfezione non significa essere mediocri.
Essere gentili e compassionevoli verso sé stessi. Bisogna perdonarsi gli errori e celebrare anche i più piccoli successi. Il focus va mantenuto sul processo di miglioramento, sull’impegno, sulla motivazione, sui valori, senza fissarsi sul risultato finale. Solo così ci si può godere il viaggio e ridurre lo stress associato alle aspettative perfezionistiche.
Quando rivolgersi a un professionista?
Se ci si rende conto che la propria tendenza al perfezionismo sta diventando ossessiva, causa disagio e sofferenza, e sta compromettendo la salute è consigliabile rivolgersi a uno psicologo psicoterapeuta. La terapia cognitivo comportamentale è l'approccio più efficace per trattare questo aspetto e i disagi ad esso correlati. Partendo dai pensieri, l'obiettivo è aiutare la persona a trovare il giusto equilibrio tra gli sforzi per raggiungere i suoi obiettivi e quei comportamenti rigidi legati a un perfezionismo disfunzionale.
Il terapeuta può aiutare a riconoscere i pensieri automatici negativi che alimentano la ricerca della perfezione, sostituendoli con pensieri più adattivi e realistici. Con l'esposizione si incoraggia a sperimentare le situazioni evitate a causa della paura di fallire. Si impara a gestire l'incertezza e l'ansia legata al non essere perfetti, ad accettare sé stessi come imperfetti, senza considerarlo un fallimento.
Siamo imperfetti e va bene così!
Il perfezionismo può essere un alleato prezioso se coltivato in modo sano. Riconoscere i suoi limiti e apprezzare l'imperfezione umana sono passi cruciali per mantenere un equilibrio. Trovare l'armonia tra l'aspirazione alla perfezione e la realtà dell'essere imperfetti è un viaggio continuo e necessario per una vita più soddisfacente e appagante. Nel momento in cui si riconosce di avere tratti maladattivi e disfunzionali, rivolgersi a uno specialista può risultare fondamentale per trovare strategie più sane, utili ed equilibrate.